Atene, 30 ottobre 2008

Hayden White

The practical past

 

Il testo qui presentato è la traduzione letterale della Keynote Lecture che Hayden White ha tenuto durante la conferenza "History between reflexivity and critique". Il testo, significativamente diverso da quello consegnato alla redazione di Historein, non è da citarsi senza la previa autorizzazione dell'autore.

 

La mia prima raccomandazione è di vedere la storia come un discorso. Michel Foucault fa una distinzione netta tra un discorso e una disciplina scientifica. Possiamo dire che le discipline scientifiche hanno in primo luogo un metalinguaggio comune per la descrizione dei fenomeni di interesse - il calcolo, ad esempio, per la fisica; in secondo luogo sono concordi su alcuni controlli sperimentali e su cosa conta per una descrizione accurata dell’oggetto di studio. In terzo luogo possiedono metodi comuni di confutazione (methods of disconfirmation), come sono chiamati nella filosofia della scienza di Karl Popper, per poter non solo determinare quando o se un’affermazione sul passato (che non è più presente ed è dopotutto una percezione) è vera o falsa, ma anche per inserirla, se vera, all’interno di generalizzazioni metafisiche. Dio è buono. Nessuno può negarlo.

Le affermazioni scientifiche devono poter essere confutate, devono assumersi l’onere della prova: penso che nella maggior parte dei casi la storia,  sebbene gli storici amino pensare a sé stessi come a scienziati - magari scienziati sociali,  non rispetti tutte le condizioni di verificabilità proprie delle scienze. Di solito una scienza ha la possibilità della “riproduzione sperimentale” dei fenomeni in discussione, oltre che della manipolazione e del controllo sulle variabili, di modo che può controllare fenomeni imprevisti e attribuzioni logiche.

Non mi spingerò troppo in là. Voglio solo dire che nella storia del pensiero storiografico la storia è stata in primo luogo discorso piuttosto che disciplina scientifica: è divenuta disciplina soltanto all’inizio del diciannovesimo secolo, ma non per questo è diventata disciplina scientifica. E’ diventata una disciplina che onora convenzioni e idee di buon senso sulla natura del passato e sulle sue relazioni col presente e tratta queste ultime alla stregua di regole e procedure metodologiche. 

Il problema delle relazioni del passato nel presente è una questione metafisica, una questione d’ontologia. Come scrive Heidegger nella terza parte di Essere e Tempo, il tempo costruisce la storia all’interno dell’esistenza individuale: siamo nati in un mondo già costituito, all’interno di un dialogo già in atto, non abbiamo scelta sul mondo nel quale dovremo vivere. E siamo circondati da una miriade di cose che vengono dal passato, che sono state prodotte prima che i nostri genitori ci concepissero: alcune di queste ci sono presentate come punti di riferimento, altre come suscettibili di ulteriore studio e ricerca, altre ancora sono semplicemente viste come parte dell’ordine naturale delle cose, del “come va il mondo”. Heidegger usa la parola “strumenti” (equipment): siamo nati in un mondo pieno di strumenti, sparsi da tutte le parti e prodotti per usi diversi ripetto a quelli del nostro tempo. Alcuni di questi ci sono ormai inutili e li mettiamo nei musei o semplicemente li buttiamo. Diventano spazzatura, in una società dove la spazzatura è diventata un importante problema esistenziale. 

Stiamo affogando nella nostra stessa immondizia, il pianeta è devastato da scorie nucleari e plastica, l’ambiente è inquinato al punto da mettere in difficoltà il sostentamento della vita; eppure tutto questo è presentato come se fosse “nell’ordine delle cose”. 

Heidegger pensa che l’affrontare il passato nel presente sia la prima questione esistenziale, poiché i lasciti del passato nel presente diventano la base dell’insegnamento della morale, una responsabilità politica inevitabile.

Le istituzioni stesse sono “strumenti”. Le istituzioni di apprendimento, ad esempio, sono state fondate prima che noi nascessimo e costituiscono una parte del nostro presente. Ci sono offerte da bambini come dato di fatto. Le cose ci sono presentate perché le adoriamo, le emuliamo, le rispettiamo e le ragioni per questo rispetto e per questa emulazione sono difficili da individuare. Perché dovrei essere un “bravo bambino”? Perché “non devo volere quello che non posso avere”? “Voglio quello, lo voglio possedere, ma non posso averlo”. Quali ragioni mi sono fornite per reprimermi, per limitare me stesso e il mio desiderio? Molte di queste sono interne al “discorso” che circola nella nostra epoca, di cui il discorso storico non è che una parte. Come ogni discorso il discorso storico non può postulare il proprio oggetto di studio, ma lo precostituisce, lo guarda nella sua natura enigmatica e poi procede nel suo tentativo di descriverlo, di fissarlo, di localizzarlo, di contestualizzarlo. Non ci si chiede “che cosa è per me”, “è positivo o negativo per me” e così via. 

Heidegger pensa che il vivere con il passato sia la problematica esistenziale fondamentale, poichè il passato è un peso, una responsabilità verso i propri antenati. “Cosa devo agli antenati?”. Questa è per lui la domanda filosofica fondamentale della nostra modernità. Decidete voi se abbia ragione o meno. Ovviamente Heidegger era un filosofo nazista, ma d’altra parte può benissimo darsi che il fascismo sia la forma che il politico o la politica prende nel nostro tempo e può essere bene cercare di pensare dal suo interno, pur continuando a condannarlo moralmente dall’esterno. Nella realtà può esercitare un potente fascino e richiamare fortemente l’attenzione umana. Non sono un fascista, (ride) ho soltanto voluto sottolineare che quando si parla del passato pratico occorre andare avanti e indietro tra l’oggetto e la riflessione che si fa su di esso, tra l’esterno (dell’oggetto) e l’interno (del ricercatore) per tentare di localizzare e di identificare l’oggetto stesso. Parlavo con Nikos (Karapidakis) l’altra sera, e mi diceva “noi greci abbiamo sempre avuto il problema di cogliere la nostra nostra identità, in un paese complesso come è la Grecia, con la sua storia”. Negli USA abbiamo lo stesso problema. Ricordate che siamo un paese post-coloniale, siamo nati nella violenza, dall’espropriazione della terra di un altro popolo e non abbiamo radici indigene su cui costruire il mito della nazione, come hanno altri paesi, come la Francia o la Germania. Il passato storico dunque è stato inventato nelle sue forme moderne ad uso dello stato-nazione, per fornire una genealogia dello stato-nazione e di conseguenza un’identità da un grande melange di persone diverse che occupavano lo stesso spazio. Si è creata un’identità attraverso la postulazione di un legame genetico tra le generazioni e di una relazione specifica e naturale tra la popolazione e l’ambiente (dopotutto è questo che la parola natio significa). 

La storia, prima di reclamare l’autorità di una scienza moderna compiuta, prima cioé dell’incontro con lo stato-nazione, era un discorso. Il passato era un discorso. Il passato prima di tutto è un luogo di fantasia, dell’immaginario, di relazioni immaginarie, il luogo dove esamini i ricordi per scoprire la vera relazione con tuo padre o tua madre, coi tuoi fratelli o i tuoi nonni. Tutti conoscono questa relazione personale, densa. Prendete come modello “i discorsi sulla prima Deca di Tito Livio” di Machiavelli. Machiavelli scrive in un tempo in cui il problema fondamentale per la sua società è quello della ricostruzione. L’Italia del suo tempo è stata ripetutamente invasa ed è divisa politicamente in città stato, il papato occupa il centro della penisola e le opposte fazioni si contendono il potere: è il caos politico. La domanda fondamentale di Machiavelli è “come ricominciare?”. Antonis (Liakos) parlava del problema della “pulizia” dopo la dittatura, del come affrontare la distruzione dei documenti della polizia politica, un problema che gli storici, ma non solo loro, indubbiamente hanno. Ma gli storici, più degli altri, dovrebbero essere attrezzati per rispondere alla domanda “come è cominciato?” 

Un nuovo inizio è molto difficile. E ricominciare di nuovo è ancora più difficile: chiunque abbia affrontato un divorzio sa di cosa sto parlando. Una nuova storia d’amore è molto difficile quando esci da una precedente. Momenti di transizione. Si suppone che gli storici siano capaci di comprendere i momenti di transizione, ma anche i momenti di fondazione. Machiavelli lavora sui Discorsi mentre è in esilio. Si ferma alla fine del secondo libro per scrivere Il Principe, una sorta di manuale per liberare l’Italia dall’invasore straniero, attraverso un “uomo di virtù” che permetta di ricominciare. Ma come ricominciare, da una situazione di assoluta corruzione? Dove trovare le risorse per il rinnovamento, per la renovatio, quando tutto è corrotto, tutto sta cadendo a pezzi e non c’è segno di virtù da nessuna parte? Questo è il classico problema del rinnovamento, che è stato probabilmente inventato con la cristianità. Dopotutto la resurrezione della carne è una possibilità uomo di fede. E’ un modo per rompere con il passato pagano, con l’infinito ricorrere del tempo e delle cose: l’idea della rottura, della morte e del rinnovamento è un elemento distintivo della cristianità. 

Dove va Machiavelli a cercare l’ispirazione e i modelli di virtù da presentare come meritevoli di imitazione? Non si rivolge alla storia, ma agli storici. Questo è il punto. Non poteva rivolgersi alla storia, perché non esisteva. 

La storia esiste solo nei libri di storia. Non sto parlando del passato: il passato è cosa molto più ampia del passato pratico. Il passato è tutto ciò che è mai successo. Il passato storico, al contrario, è una selezione di fenomeni messi insieme in un modo particolare, per rispondere a una domanda fondamentale: come ha convissuto la gente nel tempo? Pensate a voi stessi, alle vostre famiglie: questo è il vero problema, il rapporto tra le generazioni. “Quali sono i miei obblighi verso i genitori, i nonni, i figli, i figli dei miei figli?”. “Come posso vivere con gli altri in quanto membro di una comunità e in rapporto alla mia famiglia?” O in rapporto all’invecchiamento, per esempio! Non credo nemmeno che esista il tempo. Credo che esista l’invecchiamento (aging).

(- Come si dice in greco invecchiare? Rispondono - Ah! Tu ne sai qualcosa eh!)

Si suppone che invecchiando noi passiamo il testimone senza creare troppi problemi, che facciamo spazio a nuove persone. Che affermazione leggete in questo prescritto? Vivere insieme nel tempo. Questo è Michel De Certeau! E’ il pensiero di De Certeau su cosa sia pensare storicamente: è pensare l’essere insieme, è pensare il vivere con altri nel tempo. Il tempo è corrosivo ovviamente, si devono costruire i propri legami contro il tempo.

Quello che si suppone devono fare gli storici, e che un tempo facevano, si pensi a Erodoto e Tucidide, è scrivere le loro storie del passato. Gli storici greci scrivevano del passato recente e del presente, non del passato remoto, quello era per gli archeologi. C’era un passato remoto, fatto di dei, ninfe, muse, tutte quelle cose che servono a rendere la vita più semplice e più difficile, in quanto oggetti del desiderio.

Il problema qui riguarda come affrontare il presente in quanto storia. E’ un qualcosa che si perde nel passato nel momento stesso in cui ci si accorge della sua novità (il problema è che la novità non è sempre facilmente identificabile). Gli storici greci si occupavano del loro presente, non del loro passato... In effetti non avevano nemmeno la concezione di un passato storico. Non avevano una concezione della storia comparabile a quella che abbiamo oggi, in quanto qualcosa che si possa raggiungere e studiare. Di cosa parlava Erodoto nelle Storie? Di stupri, desiderio, saccheggi, devastazioni. Inizia con il dire che il suo scopo è individuare chi per primo ha arrecato offesa ai greci e guarda alle storie di furti e di tradimento, alle rivoluzioni, ai tirannicidi e così via. E’ qui che nasce la storia: come dice la parola, semplicemente essa è “guardare le cose”, indagare il presente al pari del passato. 

Nel corso dei secoli tuttavia, in occidente, il discorso storico si è sempre di più occupato di quello che possiamo chiamare il passato storico. Questo passato storico differisce dal passato pratico in alcune caratteristiche che ora cercherò di riassumere, per parlare del modo in cui gli studi storici contemporanei possono trarre profitto da un ritorno alla nozione di passato pratico. Nessuna altra disciplina, penso, è pronta a farlo.

Cercherò di fornire una definizione. Il “passato pratico” è un concetto inventato dallo storico britannico Michael Oakeshott, morto nel 1990 credo. Egli sosteneva che il passato pratico è qualcosa che ognuno ha dentro di sé - compresi gli storici - nella propria vita quotidiana; il passato che portiamo con noi, fatto sia di ricordi che di rimanenze di pratiche apprese e dimenticate. Una lingua straniera, ad esempio, che ho appreso molto tempo fa e non riesco più a parlare o a leggere, ma che è là, da qualche parte, e che posso con qualche difficoltà richiamare. E’ un passato che limita in qualche modo il presente. Ad esempio sono molto inquieto quando vado in un paese di cui non conosco la lingua... Tutto è un problema, la domanda è sempre “Come superare l’incomprensione che è inevitabile quando due persone parlano lingue differenti” - anche se pensano di parlare la stessa lingua. Il passato pratico, dice Oakeshott, è composto di diversi elementi. Tutti hanno un passato pratico, anche chi non sa nulla di storia. Perché si chiama pratico? Perché praxis fa riferimento all’azione: è il passato a cui ci si rivolge quando si è costretti a prendere una decisione. Aderire alla chiesa cattolica o a quella ortodossa, unirsi a un partito rivoluzionario, tradire un amico: per queste decisioni si ricorre al passato pratico, non si va a leggere un libro di storia. Il passato pratico ha a che fare con l’etica, definita non come la scienza del bene e del male (questa è la metafisica), ma con il “cosa devo fare”. Questa è la definizione kantiana di etica. Kant dice che ci sono tre problemi filosofici fondamentali. Cosa posso sapere, prima critica o critica della ragion pura. Cosa devo fare, seconda critica o critica della ragion pratica. E cosa posso sperare, terza critica o critica del giudizio. 

Cosa posso sapere... È la prima critica, in risposta a Hume, quando sostiene che la scienza è impossibile. E’ impossibile, eppure esiste e funziona. Hume ha dimostrato che è impossibile, eppure eccola lì... Dunque come è possibile la scienza? 

La seconda critica... La “Critica della ragion pura” è un libro poco studiato. Cosa devo fare? E’ la domanda che ognuno si pone quando si alza al mattino. Anzi probabilmente si ha già sognato di quello che deve (o non deve) fare. E’ il problema di Machiavelli, già nel sedicesimo secolo: cosa dovremmo fare, cosa dovrebbe fare il principe, quali sono gli obblighi di un cittadino. Come sapete negli USA siamo sotto elezioni. Nel mio paese, e probabilmente anche nel vostro, ci sono continuamente problemi politici ed etici... Dunque, come decidere? Kant, al tempo, ebbe l’idea che il miglior modo di rispondere alle tre critiche fosse attraverso lo studio della storia. Anche se aveva il problema di affrontare la Rivoluzione Francese, che appariva come un momento di estremo entusiasmo, un’esplosione di caos, violenza e terrore. Kant si è chiesto come spiegare il fatto che così tante persone fossero disposte a morire per questo evento. In seguito parlerà di “essere fedeli all’evento”... Cosa significa essere fedeli all’evento? Prendiamo gli anni ’60... Cosa significa essere fedeli al maggio ’68? Questo richiede un giudizio... C’è appena stato l’anniversario e nel mio paese ci si è chiesti soltanto cosa ci fosse di sbagliato nel maggio ’68, in cosa ha fallito, come i figli dei fiori siano diventati “molesti”...

Il maggio del ’68 ha cambiato la vita di ognuno di voi. La vostra vita personale. Sessuale. La vostra identità sessuale. Ovviamente i movimenti rivoluzionari ebbero diverse motivazioni nelle strade di Parigi e nelle diverse parti del mondo, ma ciò non di meno è un Evento. Ora, c’è anche chi può liquidarlo, dire che non è successo niente - è quello che dice la destra. “Non è successo niente”. Questo magari scritto da un tizio al terzo divorzio...  E i cui figli sono spacciatori... (Risate). 

Bene, questo tizio sbaglia. Ma il suo errore è un errore di giudizio. Quando devo prendere una decisione, oggi, un’azione politica (devo aderire a una chiesa, devo divorziare, da mia moglie) guardo indietro e penso a certi eventi che sono... Per usare una splendida frase di Oakeshott: “alcuni eventi possono essere personali, ma non soggettivi”. Certi eventi del vostro passato sono personali, sono vostri, ma non sono soggettivi. L’identificazione del personale col soggettivo è messa in discussione dalle concezioni contemporanee del giudizio adulto, maturo. Parlo delle concezioni più all’avanguardia. 

In questo passato pratico a cui ricorro per le decisioni c’è quello che Oakeshott chiama il passato implicito, una sorta di DNA ereditato dai progenitori. Ognuno di noi ha un “codice” dato dai propri predecessori. Un codice con fratture, con cicatrici che possono rappresentare una traccia del passato e un pericolo, o con alcune capacità (suonare il piano ad esempio) che possono essere richiamate. Ad esempio alla mia età tutti i miei colleghi si stanno ritirando, in pensione (in italiano) o come si dice in greco, e pensano: “Cosa faccio col mio tempo?” - “Una volta suonavo il pianoforte... Lo riprenderò” oppure “Ho sempre voluto dipingere, penso diventerò un pittore...”. Sono scelte personali, ma non soggettive. Si basano su un passato personale e oggettivo. Ognuno ha il proprio, ma lo ha anche in quanto membro di un gruppo, di un partito politico, di un’istituzione. C’è un passato personale dell’istituzione, che è la memoria vivente che tutti i membri di questa istituzione hanno e che vive parallelamente alla sua storia ufficiale. Ma i due discorsi, quello storico e quello pratico/personale, possono incontrarsi e sovrapporsi. 

Gli storici, noi storici... - siamo storici, nonostante quello che dice la gente (risate), perché penso (che la storia) sia l’unica cosa rimasta: non credo più nella religione, non credo più nella metafisica... E la scienza non mi dice molto, sul piano esistenziale - Agli storici cosa rimane? Il presente storico e tutte le influenze dal passato che porta con sé. 

La questione è come utilizzare e coltivare il passato pratico perché aiuti le persone a rispondere alla domanda “cosa devo fare”, Non si tratta di morale, ma di etica. La morale è dogmatica: ti dice cosa fare e cosa non fare. L’etica è correlata alla consapevolezza che “qualcosa deve essere fatto”: sapete come funziona, ci si sveglia al mattino con l’impressione di essersi scordati qualcosa, qualcosa che non si è fatto e si sarebbe dovuto fare - sto cercando di rendere questa cosa il più personale possibile, di coinvolgervi come persone piuttosto che come studiosi o rappresentanti di una disciplina. 

L’idea del passato pratico è legata ai ricordi. Ma la memoria appartiene all’immaginario, non alla ragione, anche se può essere razionalizzata... Kant pensava che la memoria fosse controllata dall’immaginazione. Ci sono due tipi di immaginazione: quella riproduttiva, in cui si torna al passato, ne traggo fuori qualcosa e ci rifletto sopra e quella produttiva, la poesia, la poesis, che mette insieme le cose in combinazioni originali. Il problema dell’utopia (“cosa è il più desiderabile”) nel nostro pensiero politico si gioca in questo binomio: sia che sia collocata nel passato che nel futuro o, come nel caso di Thomas More, nel presente, l’utopia è sempre fatta di memoria e immaginazione, nella sua forma poetica e creativa.

C’è dunque un passato consultabile a cui rivolgersi: si possono consultare le proprie cartelle mediche, si possono ricercare i dati anagrafici... E questi sono tutti aspetti di un passato che è pubblico ma anche personale. E non è soggettivo. Questo significa dunque che è oggettivo? No, non significa che sia oggettivo. Significa che è non-non oggettivo. Mi seguite? Non-non oggettivo è differente dall’essere non oggettivo o soggettivo. i poeti lo sanno bene: non-non qualcosa... La negazione della negazione non crea una positività ma qualcosa che non è negativo. Come questo bicchiere d’acqua: mezzo pieno o mezzo vuoto. E’ non-non pieno e non-non vuoto. E queste è come molti noi pensano a sè stessi, al proprio ego, alla propria identità: come a dei non-non qualcosa, piuttosto che a come  qualcosa di definito, che possa affermare “ecco chi sono, i miei documenti, le mie credenziali”.

Reminiscenze del passato che semplicemente sopravvivono nella coscienza... È quello che la psicoanalisi chiama “ricordi repressi”, una memoria che è stata esperita e registrata e torna in altra forma. Marcel Proust ne ha parlato per sette volumi... Il che mi porta al prossimo argomento: la scienza del passato pratico nella modernità è il romanzo. O più specificatamente il romanzo modernista... Virgina Wolf, Joyce, Proust... Il passato pratico è elaborato nel discorso romanzesco. Il romanzo realista (Zolà, Balzac, Flaubert), che tutti conosciamo grazie agli studi di Luckas, è realista poiché utilizza il passato storico e il presente è rappresentato come interno alla storia quanto il passato. 

(Quanto mi rimane? - Quanto vuole - No, devo fermarmi, siete stanchi, posso andare avanti all’infinito... Non ho letto il mio paper perchè è online, potete leggervelo da soli...)

Voglio leggervi un breve passo da uno grandi classici postmodernisti dei nostri tempi, “Beloved” di Toni Morrison. Sapete, il premio Nobel? Il romanzo è basato su storia vera, quella di una schiava fuggita, con i suoi due figli, dagli stati schiavisti e rifugiatasi negli stati liberi, in Ohio. Quando dei cacciatori di schiavi vengono a riprenderla lei taglia la gola a uno dei suoi figli e cerca di uccidere l’altro. Piuttosto che farli tornare in schiavitù era disposta a ucciderli. Ora, questo è un emblema etico. Ed è successo, è documentato. Il nome della donna era Margaret Garner. 

Toni Morrison si occupa di qualcosa del passato della mia società, la schiavitù, per affrontare il presente di un razzismo virulento. Questo è quanto rende la possibile elezione di Obama così esaltante per noi: l’idea che gli USA, che sono una società strutturalmente e sistematicamente razzista, nominino presidente un nero è davvero esaltante per noi. Dà qualche speranza, una speranza utopica per il futuro. All’interno del capitalismo americano è un elemento distruttivo... Deve essere rimasto un qualche senso etico di responsabilità oltre alla fame di profitto. Forse quest’uomo può farcela. Non lo so. “Cosa posso sperare”. La terza domanda di Kant.

Torniamo però a quello che dice Toni Morrison. Lei ci dice che la Margeret Garner storica è affascinante... Ma per un romanziere intento a combinare c’è troppo poco spazio immaginativo. La realtà chiude lo spazio dell’immaginazione. Questo è l’importante: quello che Morrison scrive è storicamente vero nell’essenza, ma non è strettamente fattuale. Il fine è quello di correlare la storia di Margaret con problemi contemporanei: libertà, responsabilità e ruolo delle donne, così come le conseguenze delle decisioni. Una madre sceglie di uccidere il proprio figlio piuttosto che permettere che egli torni in schiavitù. Scegliendo di uccidere i propri figli reclama la propria libertà. Il terreno è quello della schiavitù, reale ma senza un sentiero. Non c’è nessun sentiero in questo strano fenomeno.

Ho lavorato per anni sulla storiografia della Shoah, dell’olocausto. Ancora non capisco come abbiano fatto i tedeschi a fare una cosa simile. Il passato è un luogo in cui ci sono fenomeni enigmatici, o indicibili, o impossibili. Non pensate che sia impossibile che un essere umano possa avere uno schiavo? Non è impensabile? Eppure succede spesso... Si chiama matrimonio... (risate) Eppure fino a non molto tempo fa in Inghilterra le donne erano una proprietà.

Nel trasformare la storia sempre più in una scienza abbiamo perso contatto, come dice Oakshott, con questo passato eticamente significante che tutti noi condividiamo, di cui tutti hanno avuto esperienza in quanto individui. Ma soprattutto il passato storico è creato da storici professionisti che sono interessati al passato collettivo come cosa in sé, per nessun altra ragione che non sia lo scoprire cosa sia accaduto. E’ folle, non trovate? Perchè si dovrebbe volere scoprire quanto è successo nel passato se non si hanno delle preoccupazioni etiche o morali o psico-emotive? Bene c’è una parola per indicare l’interesse per quanto è successo in sè... Si chiama interesse antiquario. E’ un’attività perfettamente legittima, per persone a cui piacciono tutte le cose vecchie, solo perchè sono vecchie. E’ in un qualche modo melanconico... Le persone melanconiche scavano nel passato, poiché il passato è anche quello che hai perso e quindi ricerchi... Non c’è nessuna lezione e nessun vero interesse per il presente.

Il passato storico è un passato costruito dagli storici che esiste solo nei libri. Nessuno ha mai vissuto il passato storico, poiché è una costruzione basata su conoscenze che sono venute dopo quel passato. Il passato storico è rielaborazione, gli sono stati conferiti, per usare i termini di Braudel, una grammatica, un lessico e una sintassi del tutto nuovi. Nessuno sapeva di partire per la prima guerra mondiale nel momento in cui partiva per la prima guerra mondiale. Pensavano semplicemente di andare in guerra. Qualcuno la chiamò la Grande Guerra. Ma questo è tutto retrospettivo. Lo storico lavora retrospettivamente. Ha un vantaggio, certo, ma quello che crea esiste solo nei libri. Volete sapere qualcosa sul diciassettesimo secolo? Dovete prendere un libro di storia. Volete sapere qualcosa sull’Inghilterra del diciassettesimo secolo? Dovete prendere un libro di storia. 

Mano a mano che il passato diventa più scientifico si allontana sempre di più dal passato della vita quotidiana. La storia viene sottratta dal dominio dell’amatore, del dilettante, di chi non ha un dottorato, e messa nelle università, dove ci sono procedure di inclusione, esami che devi superare per essere chiamato storico. Ma in realtà il passato non appartiene agli storici. Nessuno possiede il passato. Siamo tutti parte di esso. Siamo tutti liberi di studiarlo, per qualsiasi ragione, con qualsiasi strumento. E tra questi strumenti, oltre alla scienza, c’è l’arte. Penso che dobbiamo far rientrare l’immaginazione, insieme all’etica, nello studio della storia e nella preparazione degli storici. E il miglior modo per farlo, secondo me, è attraverso l’inclusione della storia letteraria e della storia dell’arte all’interno dell’insegnamento della storiografia e della storia scritta da storici professionisti

Vorrei infine brevemente confrontare la visione esistenziale del passato con quella storica. 

La parola “storico” è magica. Se la storia è lo studio del passato, cosa viene aggiunto alla percezione del passato dal suo accostamento con l’aggettivo “storico”? Cosa succede al passato se il passato è Storia? E’ una domanda filosofica, probabilmente senza nessuna risposta. Ma dopotutto la maggior parte delle domande filosofiche non ha nessuna risposta. Sono funzioni, sono connessioni tra desiderio e lingua.  

(Trascrizione e traduzione di Federico Mazzini)