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Fare Storia. Culture e pratiche della ricerca in Italia da Gioacchino Volpe a Federico Chabod

Margherita Angelini, Carocci, 2012, pp. 288  

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La domanda se esista per primo l’individuo o la società, notava scherzosamente Edward H. Carr, è simile alla questione dell’uovo e della gallina: la società e l’individuo sono inseparabili, e anche lo storico è un portavoce, conscio o inconscio, della società a cui appartiene. È possibile quindi parlare, come per altre categorie professionali, di una responsabilità dello studioso di storia nei confronti della collettività? Partendo da questa domanda ed esaminando rigorosamente i percorsi storiografici di due testimoni privilegiati come Gioacchino Volpe (1876-1971) e l’allievo Federico Chabod (1901-1960), il libro propone una nuova interpretazione del ruolo degli studiosi di storia nella società italiana tra fascismoe prima età repubblicana e analizza i loro rapporti con la coeva cultura storica europea in un periodo di importanti rivolgimenti collettivi e individuali. Il "fare storia" in questi anni fu profondamente influenzato dal lavoro di Volpe e Chabod; entrambi ebbero un ruolo preminente negli studi e furono dei "poli aggreganti" per diversi intellettuali che lavorarono accanto a loro nelle accademie, nelle università, negli istituti storici e nelle riviste specializzate.

Posted on February 2, 2013 and filed under Letture.

L’histoire culturelle: un «tournant mondial» dans l’historiographie?

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Philippe Poirrier (sous la direction de), Dijon, Editions Universitaires de Dijon, 2008 

Dopo aver curato nel 2004 un libro su Les enjeux de l’histoire culturelle tutto incentrato sul paesaggio storiografico francese, Philippe Poirrier allarga opportunamente il suo sguardo verso una dimensione più ampia con un volume collettaneo sui diversi percorsi della storia culturale in dodici diverse situazioni nazionali; casi più noti come quello inglese o francese e altri quasi sconosciuti come il caso svizzero, rumeno, belga.

Su sollecitazione del curatore i saggi tentano un bilancio dello stato dell’arte nei vari paesi che include sia un percorso di lungo periodo sulle matrici culturali che innervano i diversi percorsi nazionali, sia un’analisi delle suggestioni esterne di volta in volta prevalenti, sia infine uno sguardo alla dimensione istituzionale che la storia culturale ha assunto o meno nel panorama scientifico e accademico preso in considerazione. Il quadro che ne emerge è di notevole interesse soprattutto poichè mostra percorsi, letture e appropriazioni diverse della svolta antropologica e linguistica degli ultimi decenni. Se una consolidata istituzionalizzazione e quasi una egemonia degli studi di storia culturale nel panorama complessivo degli studi storici si registra oggi solo negli Stati Uniti, in Canada, e, almeno in parte, in Francia, indici di una crescente presenza della storia culturale si avvertono in quasi tutti gli ambiti considerati anche se, come fa notare opportunamente Roger Chartier nella postfazione, si tacciono qui le critiche anche feroci che hanno continuato a colpire in questi anni i suoi diversi sviluppi, spesso percepiti come concorrenti rispetto ad altri approcci storiografici più consolidati. Diversi e anche talvolta inaspettati i terreni di incubazione di questa crescita, che ovviamente incidono sui suoi orientamenti prevalenti: la storia dell’educazione in Brasile, dove la categoria di « pratica delle lettere » in ambito coloniale ha trovato molti possibili sviluppi ; o la rilettura della Seconda guerra mondiale e della cultura politica del primo Novecento in Svizzera, in cui hanno giocato un ruolo non marginale alla fine degli anni Novanta alcune iniziative del governo federale stesso; o un’attenzione di lungo periodo per i temi della cultura materiale e dell’etnografia rurale nei paesi scandinavi. Ma è la storia stessa ad aver lasciato tracce che hanno costituito nei diversi paesi anche opportunità particolari di analisi. Così nei paesi che hanno avuto un’esperienza forte di Inquisizione (l’Italia e la Spagna prima di tutto) l’approccio con il corpus delle fonti censorie e processuali ha effettivamente costituito un laboratorio di estremo interesse per l’ analisi della produzione di discorsi identitari costruiti sul crinale di norme collettive e strategie individuali. Al costituirsi dei diversi percorsi nazionali non sono estranei infine – come si mette qui in luce -  anche le scelte e le strategie delle case editrici in materia di traduzioni, che hanno consentito nei vari casi un contatto più o meno precoce con i testi per così dire classici o fondanti della nuova storia culturale.

Carlotta Sorba

Posted on February 2, 2013 and filed under Letture.

L’Ottocento fatto immagine. Dalla fotografia al cinema, origini della comunicazione di massa

Sellerio editore, Palermo 2007

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La rivincita di Marsia. Potrebbe essere riassunta così – con una rilettura del mito presa in prestito da un erudito americano del XIX secolo, Oliver Wendell Holmes, medico e insegnante di fisiologia e anatomia a Harvard – l’interpretazione che in questo volume il sociologo Giovanni Fiorentino dà della storia della fotografia nell’Ottocento. Il sileno scorticato per aver osato sfidare il dio Apollo viene ridotto a carcassa e pelle; ma quella pellicolare, secondo un Holmes che anticipa Walter Benjamin, deve essere riconosciuta come una nuova modalità di esistenza, che si consuma in superficie: nelle forme di cultura e di comunicazione proprie della moderna civiltà industriale essa è la modalità d’esistenza che risulta determinante. Muovendo da questa intuizione fondamentale (coeva alle invettive di Baudelaire contro un mezzo automatico e seriale), Fiorentino ripercorre concezioni e usi ottocenteschi della fotografia nella forma di un’originale ancorché selettiva «genealogia degli spazi in cui si inscrive il mondo fatto immagine» (p. 15). Tra questi spazi, l’autore si sofferma in particolare sulle esposizioni, luoghi per eccellenza della mostra e del consumo e soggetti, a loro volta, di milioni di immagini prodotte e commercializzate su scala globale; sui salotti borghesi, dove imperversa negli anni Cinquanta la moda dello stereoscopio; sulle vedute di città (il caso analizzato è quello di Napoli) oppure di spazi naturali conquistati dalla “civiltà” e dalla tecnica (la frontiera americana), capaci di fondare duraturi stereotipi identitati; sugli album di età vittoriana, in particolare quelli appartenuti a personaggi come la stessa regina Vittoria e Sissi: due collezioni simmetriche, che non solo riflettono, su scala privata, le relazioni diplomatiche dei rispettivi imperi, ma che permettono anche di cogliere il regime del nascente star system, dal momento che vi si trovano organizzati in un unico palinsesto – come sulle bancarelle dei fotografi o sulle riviste illustrate – i ritratti dei governanti e quelli delle più note celebrità dello spettacolo. Attraverso la genealogia di simili spazi e pratiche di consumo, Fiorentino – che chiude significativamente il volume con la nascita del cinema – ripercorre le trasformazioni dello sguardo e delle sue funzioni nel XIX secolo come una vera e propria archeologia delle comunicazioni di massa e della cultura visuale del Novecento, le cui origini a suo giudizio sono già iscritte nelle caratteristiche di un medium come la fotografia, che rende possibile la «miniaturizzazione del mondo» (p. 158) e che «decontestualizza e riposiziona, taglia e ricompone, isola e sposta in un nuovo spazio d’uso» (ibidem). Simili processi, condotti su scala industriale, contribuiscono ad alterare le tradizionali categorie di spazio e tempo, la percezione della realtà, i criteri di organizzazione e validazione delle esperienze e gli stessi confini dell’io, come Fiorentino dimostra soprattutto attraverso l’analisi di testi letterari (Poe, Maupassant, Carroll ecc.) e in un case study specifico (quello dell’imperatrice Sissi e del suo tormentato rapporto con la propria immagine, tra strumento di consenso politico, consumo creativo e patologia).

Alessio Petrizzo

Posted on February 2, 2013 and filed under Letture.

Artistes et partis. Estétique et politique (1900 - 1945)

Maria Stavrinaki, Maddalena Carli (a cura di) -Les presses du réel, 2012, pp. 420

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Storici dell'arte e storici si propongono di studiare in questo volume l'interazione tra gli artisti europei e i partiti politici nella prima metà del Novecento. Antagonismo, negoziazione, mimetismo strutturale praticato dagli artisti nei confronti dei partiti parlamentari o unici, ambiguità che attraversano in maniera simmetrica i due poli della relazione: sono solo alcuni dei casi di cui gli autori dei testi pubblicati hanno provato ad analizzare il funzionamento. In che modo le regole e le modalità della democrazia parlamentare determinano l'attitudine estetica, ontologica e politica degli artisti? Inversamente, come e fino a che livello, la teoria estetica e l'autodefinizione ontologica degli artisti costituiscono la matrice concettuale della loro azione politica?

L'oggetto del libro è la rete di metafore che si è costituita tra l'arte e la politica, ognuna di esse divenendo, di volta in volta e mai in modo univoco, il modell

o dell'altra. Nel rapporto tra gli artisti e i partiti unici, l'interazione assume toni certamente più unilaterali. Se i partiti unici hanno portato alle estreme conseguenze l'ideologia antidemocratica della modernità e anticipato, sotto alcuni aspetti, i partiti di massa del post 1945, quale è stata la loro attitudine nei confronti delle avanguardie, divenute anch'esse oggetto storico nella seconda metà degli anni Trenta? Vorticismo, espressionismo e dadaismo, futurismo e suprematismo sono le avanguardie esaminate, mentre la politica artistica del nazionalismo, del fascismo e del partito comunista in Russia e in un paese periferico come la Grecia rappresentano il polo "totalitario" dell'opera.

testi di Mark Antliff, Maddalena Carli, Romy Golan, Tatiana  Gioriatcheva, Iro Katsaridou, Anastasie Kontogiorgi, Cécile Pichon-Bonin, Anson Rabinbach, Maria Stavrinaki, Maike Steinkamp, Marla Stone

Posted on February 2, 2013 and filed under Letture.